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Matt Ulery's Loom - Large


FESTIVAL (Woolgathering Records) CD-LP

Matt Ulery è una figura ormai di spicco nell’attuale scena Jazz di Chicago, insieme al chitarrista dei Tortoise Jeff Parker e al trombettista Marquis Hill ha partecipato lo scorso anno a quel meraviglioso album di ibridazione tra Jazz e Hip Hop che era “In The Moment” del batterista Makaya McCraven uscito per International Anthem e ricordato per essere uno dei dischi più riusciti degli ultimi tempi. Lo spirito visionario di Matt Ulery lo ritroviamo ora in tutta la sua impressionante creatività in "Festival", settimo album in proprio dove accanto al suo storico quintetto Loom troviamo un’orchestra di 27 elementi a comporre un album diviso in tre parti dove alla tradizione armonica si combina l’esperienza del Jazz modale con un approccio ricco di intensità e fantasia. Il classico di Jimmie Rowles The Peacocks in apertura è anche l’unica traccia che non porta la firma di Matt Ulery, ma la rilettura per formazione allargata del classico pianistico è una perla dal gusto cinematografico con violini e ottoni ad irrobustirne il suono con il nostro impegnato dal basso alla tuba. La successiva Hubble, ritrova lo stesso ensemble teso a spingersi verso improvvise accellerazioni virtuosistiche alternate a momenti di respiro quasi cameristico, sempre nel segno di una grande energia grazie a solisti di grande livello come il sassofonista dei Phonic Juggernaut Greg Ward e il trombettista dei Beveled James Davis.

La seconda parte è il cuore dell’intero lavoro, concentrandosi sulle atmosfere più rarefatte e notturne del quintetto con Rob Clearfiels al piano, Jon Dietemyer alla batteria, Geof Bradfield al clarinetto, Russ Johnson alla tromba e Ulery al contrabasso la musica si fa nell’insieme più rilassata e introspettiva. Da Middle West a Ecliptic le tracce sono tutte composte da grande musica dotata di notevole attenzione all’equilibrio dei ruoli. La terza e ultima parte si apre con la voce di The Silence is Holding e il Pump Organ di Rob Clearfield a dare al tutto un tono da musica da parata, quasi da Marching Show band se non fosse per le atmosfere che rimangono invece riflessive e con un carattere malinconico come nella evocativa Slow it down che mette la parola fine ad un disco imprevedibile e ambizioso nel tentativo di legare in maniera indissolubile la musica popolare americana al Jazz e alle sue avanguardie più colte.

 

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