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Jonathan Coe


Numero undici

(Narratori Feltrinelli) pag. 381, 19.00 €

Traduzione dall’inglese di Mariagiulia Castagnone

La famiglia Winshaw è stata “il più abbietto, ingordo, crudele branco di avidi bastardi voltagabbana che abbiano mai strisciato sulla faccia della terra”. Con queste parole Jonathan Coe descriveva, ormai più di vent’anni fa nel suo romanzo più famoso, l’ascesa e la caduta di una famiglia che aveva segnato la storia politica, economica e sociale inglese dal dopoguerra fino all’esplosione della prima guerra del golfo.

Un racconto dell’Inghilterra e delle sue radicali trasformazioni attraverso una prosa ricca, capace di passare attraverso molteplici stili e registri stilistici. Difficile trovare il confine tra finzione e realtà, così profondamente moderno e così strettamente legato alla tradizione, quel libro era stato in grado di riassumere in poco meno di cinquecento pagine, quarant’anni di storia britannica.

Dalla lotta di classe all’ascesa del Thatcherismo, dallo smantellamento dello stato sociale alla burocrazia più bieca, dall’assistenzialismo sfrenato fino a disuguaglianze sociali spaventose.

Le sorti del paese in mano ad un branco di criminali senza scrupoli, impegnati nella politica, nell’arte, nella televisione e nell’informazione, nella sanità e nell’industria alimentare, nella finanza e nel commercio di armi. Chi ha letto quel libro sperava di esserseli tolti definitivamente dai piedi e invece in questi giorni nelle librerie lo “strillo” di copertina dice che la famiglia Winshaw è tornata. In realtà non è proprio così, più che i loro fantasmi in questo nuovo romanzo a tornare è il vecchio malcostume oltre a qualche erede di quell’esperienza. “Numero 11” riparte dalla morte archiviata come suicidio di David Kelly, ex ispettore dell’Onu e impiegato della Difesa inglese, che per primo avanzò precise accuse al governo di Tony Blair, denunciando l’infondatezza del dossier sulle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein. Un romanzo che ancora una volta mette a nudo le infinite connessioni tra la sfera pubblica e privata creando conseguenze che finiscono per coinvolgere tutti. Così troviamo la vedova di Mark Winshaw che aveva costruito una fortuna vendendo armi ai paesi in conflitto, impegnata a guerra conclusa nel business della bonifica delle stesse. Ci sono gli eredi della finanza speculativa, il giornalismo delatorio, i reality show e i pericolosi equivoci legati ai nuovi strumenti “social” come Snapchat. A quanti di voi sarà capitato di mandare un messaggio Whatsapp scrivendo una parola che poi veniva trasformata in un’altra? Il nocciolo della storia, come del resto nella famiglia Winshaw è sulle spalle di persone assolutamente normali. Lo scrittore Michael Owen che aveva il compito di redarre la biografia della famiglia nel primo caso e la giovane insegnante Rachel Wells in questo nuovo, protagonisti a loro malgrado di una serie di avventure incredibili, destinate a lasciare un segno indelebile nelle loro vite. C’è l’attualità, il noir, il gotico, la satira e l’arte drammatica in questo nuovo capitolo dello scrittore inglese oltre a una grande abilità nel raccontare diverse storie e condurle con maestria alla catarsi finale. Ma in particolare c’è la capacità di mostrarci l’assurdità del mondo in cui siamo costretti a vivere, perché troppo spesso noi non siamo in grado di vederlo, impegnati a passare il tempo tra e-mail, telefonini, chat e isole dei famosi.

In queste settimane dove si raccolgono le più disparate riflessioni sulla Brexit, mi piacerebbe conoscere le opinioni di Jonathan Coe sull’omicidio della parlamentare laburista Jo Cox, o ancora chiedere se anche lui pensi che tutto possa ridursi a una questione di migranti e se è credibile che una nazione che ha fatto dell’aggregazione tra stati la sua più importante caratteristica possa essere influenzata da piccole persone come Nigel Farage.

Forse sarebbe più sensato considerare che la maggior parte del capitale si concentra nell’Asia centro-orientale e come l’America anche la Gran Bretagna guarderà da ora in quella direzione, abbandonando per sempre un’idea della società eurocentrica ormai in inesorabile declino a favore di un’identità policentrica. Scegliendo la via del referendum, strumento democratico per eccellenza si è data la responsabilità al popolo, non prima di averlo ampiamente plasmato, indottrinato, spaventato e influenzato a piacimento. Del resto l’erba cattiva è difficile da estirpare e i Winshaw saranno sempre tra noi, così Jonathan Coe nelle sue pagine é pronto a chiarirci un po le idee con la consueta ironia disincantata.

 

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